Prova di invaso con acqua in verifiche di continuità della guaina: è sempre efficace?
Nonostante l’informazione tecnica che stiamo proponendo da anni, constatiamo che si continua a usare la prova di invaso come definitiva in vari tipi di stratigrafia. Se analizziamo dettagliatamente il processo della prova di invaso emergono degli aspetti non del tutto rassicuranti.
Il principio di base è che il livello dell’acqua cali quando ci sono dei fori, lacerazioni, ecc. e che si veda almeno il fiorire di macchie di umidità nella superficie del solaio sottostante.
In linea teorica il principio vale sempre; nell’aspetto pratico bisogna tenere conto della stratigrafia, della porosità del materiale che si sta testando e dell’aderenza del materiale allo strato sottostante.
Se la copertura è formata solo da un solo strato, allora il principio sopradescritto ha trovato il suo campo ideale. Pensiamo alla prova di un tetto piano in vetro in cui si vuole controllare le giunzioni sottoponendole alla stessa pressione. Se durante il test si nota il calo del livello dell’acqua, ci si porta nell’ambiente sottostante alla copertura e si individua il punto del stillicidio a occhio nudo o con una termocamera con apposite lenti per vetro, o con altre tecniche. Il test di invaso, con le dovute problematiche di creare la vasca di invaso, risulta efficace allo scopo del test.
Non tutti i tetti sono un monostrato.
Se analizziamo una classica copertura definita “Tetto Caldo”, lo stesso ragionamento vale anche per il “Tetto Rovescio” e altre tipologie di stratigrafia, avremo che, durante il calo del livello, l’acqua che entra nel danno, impregna il tessuto in TNT se presente, bagna l’isolamento con conseguenza, nella vita della struttura, di aumenti di consumo energetico per il raffreddamento / riscaldamento o addirittura alimentando future muffe, batteri ecc.. L’acqua poi stagna nella barriera a vapore creando una pozza che si scaricherà al primo foro comunicante con la soletta o il solaio. A questo punto, solo se il solaio è di materiale poroso come il laterocemento, l’acqua inizierà a creare degli aloni di umidità, viceversa, se il solaio è un predale, una lamiera, ecc. inizierà una percolazione solo in presenza di qualche crepa, tassello di fissaggio o altro oggetto passante come la condotta di scarico o l’impianto idrico e cosi via. In questo caso, il test di invaso è efficace ma allo stesso tempo può creare dei danni. Da questa problematica è derivata la soluzione di inserire un manto conduttivo sotto lo strato impermeabilizzante per eseguire dei test di continuità con i sistemi ad alta e bassa tensione. Per approfondire l’argomento leggi la guida “Integrità della guaina? Il metodo ad alta tensione è un eccellente aiuto alla UNI 11345”.
Altro aspetto della nostra prova di invaso è quando siamo di fronte allo strato impermeabilizzante saldato, incollato o impregnato alla/nella stratigrafia sottostante. Qui, la guaina diventa un tutt’uno con la soletta sottostante, l’acqua che entra nel danno presente nella guaina si trova sbarrata dalla porosità del strato sottostante e può anche rimanere contenuta tra i due strati, di solito tra guaina e soletta, dando avvio nel tempo a potenziali reazioni chimiche che in questa guida non analizziamo. Durante la prova, il livello dell’acqua non cala anche in presenza di evidenti danni nella continuità della guaina. A seconda del manto posato il test di invaso non è veritiero.
Il classico caso è la posa di una guaina liquida a rullo. Per vari motivi ci possono essere dei punti di scarsa aderenza del materiale alla soletta, allo stesso tempo la soletta può essere internamente molto umida e può presentare un andamento non omogeneo dovuto a crepe, polvere, sassi o sabbia affioranti, ecc. e la stessa rullata lascia la superficie più o meno bugnata. Strato dopo strato, anche con l’uso dell’armatura, si creano delle bolle, crepe, inclusioni ecc. che potranno incamerare l’umidità presente sia durante le fasi di applicazione che durante l’asciugatura della soletta sottostante.
Il test di invaso con acqua ci illude che ci sia uniformità tra i strati applicati e fa intendere che ci sia la continuità del manto, in realtà non vengono individuati i punti di scarsa aderenza, nemmeno le strisciate che hanno inciso tutti i strati o le cadute di oggetti pesanti o appuntiti, ecc..
In questo caso, se invece di eseguire il test di invaso si esegue un test ad alta tensione continuo DC con processore incorporato, sempre in presenza di guaina dielettrica, si riesce a conoscere lo stato dei strati e la qualità definitiva del manto posato. Si individuano le lacerazioni, le inclusioni, le bolle, la porosità, ecc.
Non è nostra intenzione quella di sminuire il test di continuità tramite allagamento/invaso, lo consigliamo, ma solo in determinati casi e per verifiche indicative provvisorie perché abbiamo riscontrato che in varie stratigrafie il test di invaso si è dimostrato non affidabile dando minor garanzie rispetto ad altri test che si sono mostrati di gran lunga più attendibili. Per approfondire l’argomento leggi la guida “Collaudo delle guaine impermeabilizzanti”.
In Italia c’è chi si ostina ad usare questo test in tutte le stratigrafie come prova definitiva o perché conosce solo questo test e forse ha solo sentito parlare di altre tecniche o perché pensa solo al principio del calo del livello e al manifestarsi di percolazioni senza ragionare sulla vera efficacia del test e sulla vera qualità del risultato in relazione al materiale e alla stratigrafia presente.
Si comprende che: eseguire il test di invaso comporti l’acquisto di una canna dell’acqua e l’approvvigionamento dell’acqua stessa, un costo molto inferiore rispetto all’acquisto di specifica strumentazione, e contemporaneamente richieda una semplice competenza rispetto a quella più complessa in altre tecniche, non si capisce quando il “consulente tecnico” vuole imporre a tutti i costi questo test come definitivo perché sta delineando una prova altamente soggettiva che dipende dall’esperienza e dalla fortuna del testatore in contrapposizione a test oggettivi che portano a risultati definitivi e non opinabili.
Molte volte la conoscenza del metodo di indagine non è sinonimo della reale consapevolezza del metodo stesso e porta il “consulente tecnico” a dimostrarsi, a sua insaputa, inesperto nella scelta dell’efficacia del metodo. Il titolo di “competente professionale” si sta sempre più inflazionando a causa di pseudo autodichiarati presunti consulenti che di professionale hanno molto da desiderare.
"Errare humanum est, perseverare autem diabolicum."
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